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La diversità e l’inclusione nel settore della Cosmesi | Pamela Victoria Calcagnile, Manager in Strategic Management Partners

Pubblicato il 24 marzo 2023

Abbiamo intervistato Pamela Victoria Calcagnile, Manager in Strategic Management Partners, ponendole alcune domande legate ad una tematica di grande interesse e attualità: Diversity, Equity & Inclusion nel settore della Cosmetica.

 

La parità di genere e più in generale le tematiche di Diversity, Equity & Inclusion sono un tema di grande attualità, che Strategic affronta in una sezione dedicata. Perché avete scelto di inserire questa parte in un Outlook di settore?

In questi ultimi anni, Diversity, Equity ed Inclusion sono temi diventati ancora più importanti alla luce dei 17 Sustainable Development Goals (SGDs) definiti dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, che ha individuato obiettivi specifici dedicati a questo tema: Goal 5 – Parità di genere e Goal 10 – Ridurre le ineguaglianze.

A livello globale, per quanto riguarda la parità di genere, è certamente aumentata la consapevolezza del suo valore come motore di crescita economica e di sviluppo, tanto che le istituzioni nazionali ed internazionali hanno definito una serie di iniziative volte a supportare gli interventi radicali per superare gli stereotipi di genere, in riferimento al contesto lavorativo e familiare, e quindi scardinare le fonti di disuguaglianza.

Nel contesto delle aziende, il cammino verso la parità di genere rientra in una “rivoluzione” ampia dei parametri per lo sviluppo delle organizzazioni. Parlando di innovazione e di crescita, infatti non si può prescindere dal confrontarsi con l’impatto di fattori sociali (ma anche ambientali e di governo societario, i cosiddetti ESG) sulla vita e le operazioni quotidiane delle aziende. Non da ultimo, azioni e traguardi che vanno nella direzione del benessere del singolo e della collettività migliorano l’accreditamento delle aziende rispetto ai loro principali stakeholder.

In che modo il settore della cosmesi sta promuovendo la diversità e l’inclusione? Quali sono le tendenze emergenti nel settore cosmetico in termini di parità di genere?

 Più che una tendenza nel settore, l’attenzione ad temi legati alla Diversity, Equity & Inclusion indica un cambiamento sul lungo periodo dell’interesse dei consumatori in tutto il mondo, non solo in Italia. L’industria della cosmesi sta diventando sempre più attenta ai temi di diversity and inclusion, anche per il momento di grande trasformazione in cui viviamo.

La crescente sensibilità alla gender equality si riflette anche nei nuovi prodotti introdotti sul mercato: la creazione di cosmetici genderless (adatti sia alle donne che agli uomini), la vendita di linee di skincare dedicate agli uomini, il coinvolgimento di influencer e modelli rappresentativi del concetto della libertà espressiva. Maggiore diversità e inclusione viene realizzata attraverso prodotti che soddisfano le esigenze di un’ampia gamma di clienti, tra cui colori di trucco adatti ad ogni tonalità della pelle, prodotti per la cura dei capelli di tutte le texture, detergenti per la cura di diversi skin types, ma anche packaging specifici per le esigenze delle persone con disabilità, come ad esempio articoli confezionati in modo tale da essere più facili da aprire per chi ha problemi di motricità fine delle mani.

Diversità e inclusione non sono solo un elemento di responsabilità, ma leva per la competitività: l’unicità delle persone e la loro complessità è vista come un vantaggio in grado di produrre un differenziale quanto mai essenziale per la competitività di un brand, consentendo alle aziende di diventare un catalizzatore di cambiamento positivo e di progresso sociale. E’ inoltre importante ricordare che questo approccio di business consente di raggiungere un numero più ampio di consumatori, aumentando la fiducia dei clienti attuali e potenziali, con maggiore visibilità ed accesso a più mercati.

Parliamo della certificazione della parità di genere. Di cosa si tratta e quali sono i benefici?

La certificazione è stata introdotta in Italia dalla Legge n. 162/2021 (Legge Gribaudo) e si tratta di una misura volta a promuovere una maggior consapevolezza sul tema della gender equality, in linea con la Missione 5 “Inclusione e Coesione” del Piano Nazionale Ripresa e Resilienza (PNRR).

La certificazione, elaborata da UNI nella prassi UNI/PdR 125:2022 prevede l’introduzione di un sistema di gestione per la parità di genere, con la strutturazione e adozione di indicatori prestazionali (KPI) in sei aree: cultura e strategia aziendale, governance, processi di HR, opportunità di crescita, equità remunerativa, tutela della genitorialità e conciliazione vita-lavoro.

Il percorso di certificazione di genere permette di intervenire in modo olistico e a 360° sulla struttura interna e sulla percezione esterna di clienti, investitori e azionisti, collaboratori. Spesso si tratta di mettere in luce pratiche che, in molti casi, le aziende già hanno tematizzato, senza però che siano fino ad ora state inserite in un percorso strutturato e formalizzato.

Le imprese che ottengono la certificazione posso usufruire di alcuni vantaggi tangibili: primo fra tutti, un esonero dal versamento dei contributi previdenziali a carico del datore di lavoro, non sarà superiore all’1% e fino a 50mila euro annui.

Inoltre è riconosciuto un punteggio premiale per la valutazione di proposte progettuali, da parte di autorità titolari di fondi europei nazionali e regionali, ai fini della concessione di aiuti di Stato a cofinanziamento degli investimenti sostenuti.

Cosa rispondere a chi ritenere la certificazione di parità di genere un’ulteriore costrizione burocratica o un’etichetta da mostrare all’esterno?

La certificazione di genere aiuta a identificare ciò che già esiste, a renderlo più efficace e meno costoso, a monitorarlo costantemente per evitare duplicazioni e sprechi di risorse, a identificare quelle aree in cui ci sono ancora margini di miglioramento. Insomma, dato l’impatto potenzialmente così positivo sull’azienda sia in termini di rinnovamento che di sistematizzazione, difficilmente intraprendere il percorso di certificazione può essere scambiato per una campagna di “pink washing”. La certificazione non è bollino ma un effettivo impegno di cambiamento della cultura aziendale e dei percorsi di crescita, che crea un ambiente di lavoro più inclusivo e sostenibile e quindi facilità l’innovazione complessiva dei processi e dei risultati.

E’ doveroso sottolineare che questa certificazione è stata pensata e realizzata in modo tale da consentire a tutte le organizzazioni, in particolare alle PMI che compongono il tessuto economico nazionale, di avere degli obiettivi calibrati in base al numero dei dipendenti, per rendere realizzabili e concreti i miglioramenti richiesti ad ogni revisione e rinnovo.

Inoltre per le organizzazioni è possibile accedere ad incentivi regionali e del PNRR per affrontare il processo di certificazione.

Se un’azienda desiderasse certificarsi, da dove dovrebbe partire?

Partiamo da una premessa: un alto numero di donne lavoratrici non basta per ottenere la certificazione, così come avere buone politiche per la famiglia.

Bisogna andare a verificare che posizioni ricoprono quelle donne, la retribuzione e che percorso di carriera hanno sostenuto. Ma non solo: poiché la certificazione agisce a livello di cultura aziendale, è necessario ad esempio verificare anche tematiche legate ai valori, alla formazione, alla comunicazione.

Per sintetizzare, il punto di partenza è quello di svolgere un’ analisi accurata del contesto aziendale in un’ottica di parità di genere.

Come società di consulenza, Strategic Management Partners, fa proprio questo: valutiamo la maturità dell’azienda e predisponiamo un piano strategico conforme ai requisiti della UNI/PdR 125:2022, integrato nel piano di sviluppo generale dell’azienda. Supportiamo quindi l’azienda a realizzare gli interventi individuati, in relazione alle aree di valutazione e ai KPI richiesti dalla certificazione.

 

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